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I marchi di ciglia finte affrontano il controllo sulle accuse di greenwashing
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- 2025-11-02 01:41:35
I marchi di ciglia finte affrontano un crescente controllo sulle affermazioni di greenwashing
Negli ultimi anni, l’industria della bellezza ha assistito a un cambiamento epocale verso la sostenibilità, con i consumatori che danno sempre più priorità ai prodotti ecologici, comprese le ciglia finte. Spinti dalla crescente consapevolezza ambientale, innumerevoli marchi di ciglia si sono affrettati a lanciare linee "verdi", pubblicizzando affermazioni come "biodegradabile al 100%", "rifiuti zero" o "materiali sostenibili". Tuttavia, questa impennata dell’eco-marketing non è rimasta incontrollata. I marchi di ciglia finte si trovano ora ad affrontare un crescente controllo sul greenwashing: affermazioni ambientali fuorvianti o esagerate che non reggono al controllo.
La richiesta di bellezza sostenibile è innegabile. Un rapporto Nielsen del 2023 ha rilevato che il 73% dei consumatori globali è disposto a pagare di più per prodotti con imballaggi sostenibili, mentre i dati Mintel mostrano che “eco-friendly” è ora il secondo termine più ricercato nel campo della bellezza, dietro solo a “vegano”. Per le ciglia finte, una categoria a lungo criticata per la sua dipendenza da fibre sintetiche non biodegradabili (come il poliestere) e imballaggi in plastica, questa tendenza è stata un catalizzatore per un rapido rebranding. Marchi grandi e piccoli hanno affisso etichette come “ciglia biodegradabili” e “imballaggi compostabili” sui loro siti web e sui social media, con l’obiettivo di catturare il consumatore eco-consapevole.

Eppure, sotto la superficie, molte di queste affermazioni si stanno rivelando più una campagna pubblicitaria di marketing che un’azione ambientale. Gli organismi di regolamentazione, i gruppi di difesa dei consumatori e i revisori di terze parti stanno iniziando a denunciare le incoerenze. Ad esempio, un'indagine del 2024 condotta dalla Advertising Standards Authority (ASA) del Regno Unito ha rilevato che il 40% dei marchi di ciglia finte che dichiaravano "biodegradabile" non sono riusciti a fornire prove che i loro prodotti si rompessero entro un periodo di tempo ragionevole (in genere da 6 mesi a 2 anni in ambienti naturali). Invece, molti si sono affidati a termini vaghi come “eco-friendly” senza definire standard, o hanno utilizzato materiali che, sebbene parzialmente di origine vegetale, contenevano comunque additivi sintetici che ne ostacolano la degradazione.
Prendiamo il caso di un popolare marchio di ciglia fast-fashion che ha lanciato una "collezione di ciglia biodegradabili" nel 2023. Il marchio ha affermato che le sue ciglia erano realizzate con "fibre di origine vegetale al 100%" che si decomporrebbero nei contenitori del compost domestico. Tuttavia, test indipendenti condotti dal laboratorio di sostenibilità GreenScreen hanno rivelato che le fibre erano in realtà una miscela di 30% cotone e 70% poliestere, un materiale sintetico che può impiegare fino a 200 anni per degradarsi. Allo stesso modo, un altro marchio ha dovuto affrontare una reazione negativa quando si è scoperto che il suo “imballaggio a rifiuti zero” includeva inserti in plastica non riciclabile nascosti sotto le etichette di carta.
Allora perché i marchi di ciglia finte si rivolgono al greenwashing? La risposta sta in un mix di pressione dei consumatori, urgenza competitiva e lacune normative. Poiché gli acquirenti basano sempre più gli acquisti su credenziali di sostenibilità, i marchi temono di perdere quote di mercato se non si allineano con l’eco-tendenza. Nel frattempo, la mancanza di standard universali per il “biodegradabile” o il “sostenibile” nel settore delle ciglia crea delle lacune. A differenza dei prodotti alimentari o medici, gli articoli di bellezza non sono soggetti a una rigorosa approvazione pre-immissione sul mercato per le dichiarazioni ambientali, consentendo ai marchi di autocertificarsi o utilizzare un linguaggio ambiguo senza ripercussioni legali, almeno per ora.
Le conseguenze del greenwashing vanno oltre la delusione dei consumatori. Le affermazioni fuorvianti minano la fiducia nel settore della bellezza, rendendo più difficile per i marchi realmente sostenibili distinguersi. Per i consumatori significa contribuire inconsapevolmente allo spreco: una frusta commercializzata come “biodegradabile” che finisce in discarica persisterà per decenni, proprio come la sua controparte non ecologica. Dal punto di vista ambientale, la proliferazione della falsa sostenibilità rallenta il progresso verso un cambiamento reale, poiché i marchi danno priorità al marketing rispetto all’innovazione significativa.
Per l’industria delle ciglia finte, il percorso da seguire richiede di andare oltre il greenwashing e passare ad azioni tangibili. La vera sostenibilità inizia dai materiali: sostituire il poliestere tradizionale con il PLA (acido polilattico), un polimero di origine vegetale che si decompone nel compost industriale entro 6-12 mesi, o fibre naturali come la seta (di provenienza etica) o il bambù. Il packaging è un’altra area critica: si utilizza carta riciclata, inchiostri a base di soia ed si elimina completamente la plastica. Anche la trasparenza è fondamentale: i marchi dovrebbero certificare le proprie dichiarazioni da parte di terzi (tramite organizzazioni come Ecocert o Biodegradable Products Institute) e condividere rapporti dettagliati sulla catena di fornitura, in modo che i consumatori possano verificare le dichiarazioni di sostenibilità in modo indipendente.
Mentre gli enti regolatori iniziano a prendere provvedimenti – con l’imminente regolamento sui cosmetici dell’UE che inasprisce le norme sul marketing ambientale e la FTC che aggiorna le sue Guide verdi per la bellezza – i marchi di ciglia finte devono adattarsi o affrontare ricadute reputazionali e legali. Per i consumatori è necessaria la vigilanza: guardare oltre le parole d’ordine per verificare la presenza di certificazioni, tempi di disgregazione dei materiali e imballaggi onesti. In definitiva, il futuro delle ciglia sostenibili dipende dalla responsabilità dell’intero settore, ovvero dalla trasformazione delle rivendicazioni ecologiche in azioni ecologiche.
